Ciò che so è che mia nonna (la nonna dell’autore, miracolosamente scampata a differenza del nonno alla Shoah, NdR) sopravvisse all’intera è incredibile storia del ghetto di Theresienstadt (oggi Terezin, Nda). Era lì in una fredda e piovosa mattina, l’11 novembre 1943, quando il comandante decise che i 45mila prigionieri del ghetto dovevano essere accuratamente contati. Circondati dalle guardie con le mitragliatrici pronte a sparare, i reclusi vennero fatti marciare fuori dalle mura verso una valle vicina, simile a un cratere. Molti pensarono che sarebbero stai fucilati. Invece venne ordinato loro di stare in piedi fermi mentre venivano contati da tre gruppi indipendenti. Quando le cifre non corrisposero, i tedeschi si infuriarono e gridarono che la conta sarebbe ripresa. Scese l’oscurità e tutti erano ancora lì in piedi. Già deboli per le razioni limitate, non avevano avuto nulla da mangiare o bere per tutto il giorno, né alcuna possibilità di andare al gabinetto. Molti furono colpiti da dissenteria, altri caddero svenuti sull’erba umida. Più di duecento morirono. Soltanto a mezzanotte i tedeschi interruppero l’operazione e i malati e i morti vennero riportati indietro da coloro che avevano ancora la forza per farlo.

Amalie (la nonna, NdR) assistette anche alla farsa della ispezione della Croce Rossa Internazionale, nel giugno 1944. Durante i mesi precedenti i nazisti organizzarono freneticamente squadre di lavoro per abbellire la piazza centrale, costruendo negozi, una banca e alcuni caffè, in modo che sembrasse esserci qualcosa per cui gli abitanti potessero spendere il denaro che i nazisti avevano stampato per loro. Di fatto non c’era nulla da comprare. Le razioni vennero aumentate prima che la Croce Rossa ispezionasse il ghetto in modo che gli abitanti sembrassero, e fossero, un po’ più sani. Un metodo più cinico per raggiungere l’effetto sperato fu la deportazione ad Auschwitz, un mese prima dell’ispezione, di 7500 prigionieri più deboli e ammalati. Il giorno dell’ispezione venne meticolosamente pianificato. Il comandante delle SS Karl Rahm (poi catturato dai russi e impiccato dopo sommario processo, NdR) guidò un gruppo di ispettori attraverso la città. Come un re per un giorno, al capo del Consiglio ebraico vennero dati un vestito, un’automobile e un autista in uniforme da SS che si inchinava educatamente davanti a lui mentre gli apriva lo sportello. Gli ispettori della Croce Rossa furono accompagnati al campo sportivo, dove era in corso una partita di calcio e un gol fu segnato al momento opportuno, seguito da un applauso ben studiato. Gli ispettori videro alcuni facchini scaricare carretti pieni di verdura fresca. Alcuni bambini si avvicinarono a Rahm e pronunciarono la loro battuta imparata a memoria: “Zio Rahm, abbiamo di nuovo sardine a pranzo?”. Zio Rahm li rassicurò che oggi avrebbero ricevuto qualcosa di meglio. Naturalmente non si erano mai viste sardine a Theresienstadt. Non appena la squadra di ispezioni ripartì, la verdura fu portata via. Entro quattro mesi, il Capo del Consiglio ebraico era stato ucciso dalle SS e i bambini che avevano recitato le loro battute così bene erano stati tutti mandati ad Auschwitz.

Peter Singer

Ciò che ci unisce non ha tempo (una famiglia ebrea nella grande Vienna)

Il Saggiatore

Milano, 2005

Ps. Di Peter Singer avevo letto, lo scorso Millennio, Liberazione animale, devastante volume antispecista (anche se nel 1975 non ricordo si dicesse così) che mi spinse alla mia prima fase vegetariana e all’impegno animalista (qualche traccia è ancora incredibilmente viva). Questo libro parla della storia del nonno di Singer, intellettuale ebreo viennese che finì stritolato negli ingranaggi della follia nazista. Ricordare, specie di questi tempi, è sempre più importante.

Ad maiora