Sì, lo so che il periodo natalizio in cui si regalano i libri è ormai finito. Ma tanto so anche che quei pochi che leggono i libri, non smettono quando finiscono le feste. E non so quanti tra i miei lettori siano interessati al calcio (settore cui mi sto dedicando professionalmente, spero in modo dignitoso).
E allora eccovi la mia proposta libraria–sportiva, scritta da uno dei personaggi più simpatici con cui mi capita di lavorare: Eraldo Pecci. L’ex giocatore di Bologna, Torino e Fiorentina aveva già scritto un volume sullo scudetto granata dopo Superga (Il Toro non può perdere, Rizzoli). Ma in questo “Ci piaceva giocare a pallone” racconta davvero “un calcio che non c’è più”. Lettura davvero interessante nei giorni delle polemiche (tardive della politica, puntuali e in tempi non sospetti dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai) sulla demenziale idea di giocare la Supercoppa Italiana tra Milan e Juventus, in Arabia Saudita. Dopo l’omicidio Khashoggi (giornalista entrato vivo nel consolato saudita di Istanbul ed uscita, sembra a vedere gli ultimi video, in tanti sacchi di plastica) non deve sorprendere che le donne non potranno nello stadio di Gedda accedere alle tribune dei single maschili. Se pecunia non olet, leggere le pagine di Pecci fa immediatamente ricordare il perché il calcio sia ancora tanto amato in tutto il mondo.
Chi conosce Eraldo Pecci immaginerà che il libro contenga una serie di aneddoti. Ed è proprio così! Vi troverete a ridere da soli, leggendoli. Io me ne sono appuntati alcuni:
«Si legò al Superga (la squadra giovanile, romagnola, di Pecci, NdA) anche Gianni Pellegrini, giovane dirigente educato e di belle maniere. Alla prima trasferta avvicinò un dirigente della squadra avversaria e tendendogli la mano lo salutò: Piacere, Pellegrini del Superga”. E si sentì rispondere: “Anche noi non siamo tanto forti”. Sembra una barzelletta ma andò proprio così»;
«Quando (mio fratello, NdA) superò l’esame di terza media, i miei genitori gli regalarono una bella bici nuova. Quando toccò a me, niente bici, perché a lui l’avevano rubata poco dopo l’acquisto. Una logica che non faceva una piega. “Maurizio, ti prego di non farti fregare la macchina, se no mi tocca girare a piedi tutta la vita” fu la mia reazione»;
«L’osservatore (del Bologna, NdA) che mi aveva seguito più volte era stato Gastone Mazzanti. La prima volta che mi visionò notò che avevo i capelli pettinati con la riga in mezzo, i calzettoni calati alla Sivori e che alla mia apparizione due ragazzine si erano date di gomito. “Cretino è cretino, adesso vediamo se è capace a giocare” fu il suo pensiero»;
«Mi sposai un lunedì (ossia il giorno dopo la partita, abitualmente di riposo per calciatori, oltre che parrucchieri…NdA), ai primi di ottobre. Emanuela aveva quindici anni e mezzo e non era in cinta. Non credo che ciò deponga a nostro favore ma Matteo nacque il 23 agosto dell’anno successivo. La curia non ne voleva sapere di concederci il permesso e dovemmo affrontare vari incontri e interrogatori. Evidentemente fummo promossi e ottenemmo il via libera. Io di anni ne avevo ventidue e mezzo. La luna di miele consistette nel viaggio Riccione-Pontecchio Marconi, dove dormimmo assieme allo Chalet delle Rose, l’hotel che ospitava i ritiri pre partita del Bologna. Il mattino seguente Emanuela tornò a Riccione e io mi recai al raduno della Nazionale sperimentale».
Mi fermo qui, anche se di racconti così il libro ne è davvero pieno. Si respira aria buona per qualche ora leggendoli. Lontani da cori razzisti, blitz militari fuori dallo stadio, partite italiane in Arabia Saudita e giocatori che spendono fortune al casinò. Davvero un calcio che non c’è più.
Ad maiora
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Eraldo Pecci
Ci piaceva giocare a pallone
Rizzoli
Milano, 2018
Pagg. 253
Euro: 17