La copertina di Tatty

Leggendo questo libro in più di una occasione mi sono immaginato le scene, la loro trasposizione in pellicola. Forse perché dell’Irlanda degli anni ‘60/70 abbiamo potuto vedere anche in Italia parecchi film.

Tatty di Christine Dwyer Hickey racconta la storia della piccola Carrie, da tutti chiamata appunto Tatty (gioco di parole che deriva da Tell-tale-tattler, spia pettegola) seconda figlia di quattro con genitori che si alternano tra alcol e depressione, tra birra e scommesse sui cavalli.

La piccola a un certo punto viene mandata in collegio, posto che per lei finisce per essere una specie di salvezza, dove trova amiche e suore che le vogliono bene.

Nella sua scuola, mentre le altre vanno a casa, Tatty la domenica resta alla finestra in attesa che il padre la venga a prendere. Non sempre lo fa e se non la trova al portone a volte gira la macchina e torna indietro senza neanche salutarla. Costringendola a giornate festive nella scuola deserta, che la Dwyer Hickey (e la traduttrice Sabrina Campolongo) descrive mirabilmente: «La scuola posto è un buffo la domenica. Puoi camminare dove ti pare e non incontri quasi nessuno, puoi sentire tutti quei rumori che negli altri giorni della settimana non noti. Come i tic-tac diversi dei vari orologi, i tubi dell’acqua che gorgogliano nei muri, la stanza della caldaia che ha un attacco d’asma. O i rumori che provengono dalla piccola suora bruna quando sale le scale; il flipflop della sua tonaca, il leggero ticchettio del rosario, i tintinnii furtivi delle chiavi della sua scatola di dolciumi, pensando che sono favolosi. Puoi sentire i passi che vengono verso di te dalla distanza di due spazio corridoi e poi quando incontri i passi salta fuori che sono tuoi».

Un romanzo che parla di altri tempi. Ma con vicende che non riguardano solo i dublinesi di quegli anni.

Ad maiora

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Tatty

Christine Dwyer Hickey

paginauno

Vedano al Lambro, 2017

Pagg. 178

Euro: 15