In un qualunque momento, nel mondo ci sono quaranta orari diversi. Altro fatto interessante: la Cina una volta aveva cinque fusi orari, ma adesso ne ha solo uno e per alcuni cinesi il sole non sorge prima delle dieci. Un altro: molto prima che l’uomo viaggiasse nello spazio, i rabbini discutevano di come osservare lo Shabbat lassù: non perché prevedessero viaggi spaziali, ma perché mentre i buddhisti aspiravano a convivere con le domande, gli ebrei piuttosto ne morirebbero. Sulla Terra, il sole sorge e tramonta una volta al giorno. Un’astronave completa un’orbita intorno alla Terra ogni novanta minuti, il che richiederebbe uno Shabbat ogni nove ore. Una linea di pensiero sosteneva che gli ebrei semplicemente non dovrebbero andare in un posto che solleva dubbi sulla preghiera e l’osservanza. Un’altra che gli obblighi terrestri sono legati alla Terra: quello che succede nello spazio rimane nello spazio. Alcuni sostenevano che un astronauta ebreo dovesse comportarsi come se si trovasse sulla Terra. Altri che lo Shabbat andasse osservato in base all’ora su cui era regolata la strumentazione, nonostante la città di Houston fosse ebrea più o meno quanto lo spogliatoio della sua squadra di basket. Due astronauti ebrei sono morti nello spazio. Nessun astronauta ebreo ha osservato lo Shabbat.

Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda, Milano, 2016