L’ultima visione di Torino: attraverso la botte di vetro traballante che va nella neve: dominante l’enorme mantello del vetturino (che è l’ultima sua poesia). Saluto nordico al mio cure nordico.
Ma sono io nordico? E queste parole hanno un senso? Valgono per le polemiche queste antitesi dottrinali, e anche di gusti, di costumi, di ideali. Mi sentirò più vicino a un francese intelligente che a un italiano zotico – ma quando mi proporrò delle esperienze intellettuali, quando li guarderò per la mia cultura. Io sento che i miei avi hanno avuto questo destino di sofferenza, di umiltà: sono stati incatenati a questa terra che maledirono e che pure fu la loro ultima tenerezza e debolezza. Non si può essere spaesati.
T. (probabilmente il filosofo Adriano Tilgher) dice che è meglio un paese civile. Ossia pensa che potrà fare meglio i suoi articoli. Egli ha rinunciato a ogni altra risonanza. Io sento che la mi azione altrove non avrà il sapore che ebbe qui: che le sfumature non saranno intese: che non ritroverò gli stessi amici che mi capivano.
Il cinismo era una difesa contro il sentimentalismo che ripugna il mio ideale virile. Ma io sarei desolato se la mia vita si riducesse a una rigorosa esecuzione di un piano e se non avvertissi in me, difficile a dominare, nei momenti più difficili, il tumulto della vita e l’ansia degli affetti.
Il senso del fato – non come punto di partenza, ma come indifferenza alle vicende – quando si è sicuri di sé. Non mi importano i risultati perché li accetto come misura della mia azione, di me (un’altra misurazione della volontà sarebbe complicata e impossibile). Bisogna essere se stessi dappertutto. Naturalmente non si deve essere isterici e si può essere tranquilli solo se non si cercano delle conferme. La concezione della vita come serie di esami è stupida: tutto si riduce invece all’aver credito, al non aver bisogno di esami perché si è qualcosa (si intende sempre socialmente).
Scritto pubblicato postumo il 16 marzo 1926 su Baretti. Piero Gobetti moriva a Parigi 90 anni fa oggi, esule, per le conseguenze dei pestaggi fascisti. In quella città europea è ancora sepolto. Il suo motto Che ho a che fare io con gli schiavi rimane una delle fondamenta della mia vita.
Ad maiora