C’era mezza Tavazzano ieri per l’inaugurazione del locale Giardino dei Giusti.
Prima di scoprire la targa, c’è stata una affollata cerimonia nel Teatro del Nebiolo, con letture di articoli di Anna e interventi delle autorità. Ma anche con i ragazzi delle Medie che spiegavano chi fossero i Giusti e cosa avesse fatto la Politkovskaja, prima di essere assassinata. Proprio la partecipazione di ragazze e ragazzi è stato l’elemento di forza di quanto successo ieri.
Non un’iniziativa piovuta dall’alto. Ma un percorso costruito, per mesi, con la città, che si è fatta così comunità.
Tanto per capirci, con il parroco (che è intervenuto alla cerimonia) che, durante le messe, ha invitato i fedeli a partecipare all’inaugurazione. E non si trattava di un evento religioso. Né veniva dedicato un albero a un prete o una suora.
Eppure fare comunità significa anche questo.
Giovedì scorso , nell’incontro che ho avuto con gli studenti (molto più maturi e sensibili di come vengano spesso rappresentati) mi è stato chiesto se fossi orgoglioso di essere italiano. Ho risposto di no, perché non amo un paese dove la massa – acriticamente – corre in soccorso dei vincitori.
La giornata di ieri mi spinge a essere più accondiscendente verso questo paese, fatto di mille sfaccettature, di migliaia di comuni (e pure di tante province!), di tante (belle) comunità.
Tavazzano è un piccolo comune lodigiano che ora ha un Giardino dei Giusti come molte grandi realtà in giro per il mondo.
Il fatto che il primo albero sia stato piantato per la Politkovskaja mi riempie di gioia. Racconta che gli sforzi fatti da Annaviva in questi anni per preservarne la memoria, non sono stati vani.
Ad maiora

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