Lasciamo per qualche ora Port-au-Prince e ci dirigiamo a sud, verso Les Cayes. L’emergenza colera è distante da qui, ma ci sono riunioni su riunioni per prepararsi all’impatto. Obiettivo: individuare un’area, pianeggiante e asciutta dove organizzare la quarantena. Compito non semplice in un’area umida come questa.

Non sarà facile comunque fermare l’epidemia. In assenza di acqua corrente nelle case, la vita si concentra su rigagnoli e fiumi. Che spesso fanno sia da discarica che da bagno pubblico.

Avsi e tutte le ong che sono presenti qui ad Haiti stanno provando a spiegare a tutti quali le precauzioni da prendere per evitare il contagio, Ma al momento sembrano rimanere inascoltate. Qui d’altronde il colera manca da un centinaio d’anni e quindi non c’è abitudine a “trattarlo”.

Bisognerebbe anche capire come è arrivato su quest’isola bella e sfortunata. Per nove mesi, dal terremoto in avanti, c’erano state altre malattie, ma mai il colera. Ora che c’è nelle tendopoli rischia di fare una strage.

Ora guardate questa immagine. Spiaggia lunghissima, mare caldo, palme a fare da sfondo. Haiti è anche questo e un tempo qui arrivavano i turisti. Ora tutto ciò è inimmaginabile. O meglio è pensabile solo oltre frontiera, nella repubblica domenicana.

Qui tra colera, terremoto e guerre civili, difficile che qualcuno venga presto a fare il bagno in queste acque.

Il rilancio qui potrà passare dall’agricoltura. Ma di questo magari parliamo domani.

Ad maiora.