Ha un titolo che a prima vista ti fa immaginare un film in cui mettere a nudo i tanti difetti dei nostri compaesani. E la prima scena de “L’italien”, con un uomo che si sbarba e sceglie con accuratezza i vestiti da indossare prima di salire su una Maserati rombante sembra confermare lo stereotipo.
A maggior ragione se il tutto e’ accompagnato dalle note “da vero italiano” di Toto Cotugno (e la bella scelta di canzoni tricolori diverrà sempre più agrodolce col passare dei minuti).
Mai farsi condizionare dalle apparenze. Dino, il protagonista di questa bella pellicola francese diretta da Olivier Baroux, finge solo di essere italiano. Il perche’ lo spiega alla fine quando, caduto il suo castello di sabbia, dovrà cercare di rimettere in piedi la sua vita davanti al mondo intero: essere italiano in Francia fa figo, e rende la vita molto più facile rispetto a chiamarsi Mourad, immigrato proveniente dall’Algeria, ormai completamente francesizzato. Per esserlo appieno aveva dimenticato radici e religione. E proprio il promettere al padre di seguire il Ramadan, lo obbligherà ad esporsi, e a cadere in errore.
Una pellicola che fa riflettere questa se pensiamo ai vecchi film nei quali gli italiani immigrati all’estero erano presi per il culo perche’ esultavano ai gol degli azzurri (ma in Germania anche e ancora per questo, un uomo ci ha lasciato le penne questa estate). Gli italiani-maccaroni all’estero continuano a non godere di buona fama. Ma nella gabbia di Schengen, siamo comunque dei privilegiati. E alla fine, grazie alla moda e al design, abbiamo un aspetto charmant che altri non hanno.
E soprattutto non siamo musulmani: fatto che nella perdurante fase islamofobica seguita alla strage delle Torri Gemelle ha ancora il suo peso. “Non sapevo che ci fossero italiani islamici”, gli dice il collega che lo scopre a pregare in ufficio e che gli farà saltare il castello di bugie.
Bugie che ti permettono di trovare lavoro e una bella fidanzata bionda (che non potrai mai pero’ presentare ai genitori, che ogni giorno mangiano cous cous). Ma che alla fine hanno le gambe corte e lasciano il segno: quello che siamo prima o poi esce.
Il tempo e’ galantuomo. Come un italiano.
Mah.
Ad maiora.