Domani saranno migliaia i georgiani che parteciperanno ai funerali di Nodar Kumaritashvili, l’atleta che ha perso la vita su una pista da slittino resa più veloce per la spettacolarizzazione imposta dal marketing televisivo.
La colpa dello schianto mortale (avvenuto nelle prove) è stata ovviamente appioppata al ventunenne. Tanto è morto e quindi non può replicare. Poi è il rappresentante di una nazione sfigata per cui chi-se-ne-frega. A Bakuriani, la cittadina che ha dato i natali a Nodar, località sciistica tra le più prestigiose in Georgia, dei giochi politici dei signori delle olimpiadi non si occupano. Al ragazzo dedicheranno una via e forse la pista da slittino.
Mercoledì ad accogliere la salma dello sportivo c’era, insieme ai genitori, anche un picchetto d’onore. In migliaia, lungo le strade innevate, del paese hanno salutato il passaggio della bara. Riaccompagnata in madre patria dal compagno di squadra Levan Gureshidze. È l’unico che abbia deciso di lasciare le Olimpiadi di Vancouver dopo l’incidente mortale. «Come avrei potuto partecipare? », si è chiesto. I più si sono invece dimenticati e festeggiano tranquillamente. Ma non dimentichiamoci che anche all’Heysel si giocò una finale di coppa, malgrado la strage sugli spalti.
Il Comitato olimpico nazionale ha ribadito che la morte è dovuta all’imprudenza dell’atleta e non alle sbarre d’acciaio messe in fondo alla parabolica. E non alla recinzione troppo bassa. E non che fosse stata presentata come la pista da slittino più veloce del mondo (provata solo dagli atleti canadesi). Come ha detto giustamente David Letterman, «se Nodar fosse morto per un suo errore non avrebbero apportato modifiche alla pista e coperto le travi dove si è schiantato, non avrebbero abbassato la partenza della prova maschile all’altezza di quella femminile».
È lo sport bellezza. La pista, costata 100 milioni di dollari, non si poteva abbandonarla solo per la morte di un giovane georgiano.
Ad maiora